Fuh - Dancing Judas - CD digipack
Dancing Judas è sicuramente uno dei più bei dischi usciti da casa Smartz. I Fuh, dal cuneese, ci regalano 8 tracce di ottimo post-core dalle influenze noise, sono maturi al 100% e ve ne renderete conto al primo ascolto. Il disco esce in due lussuosissime versioni: gatefold LP e digipack CD. Fatelo vostro.
Dancing Judas is certainly one of the best records released by Smartz. Fuh, from Cuneo, offer us 8 tracks of excellent noise-influenced post-core, they are 100% mature and you can realize it at the very first listening. Dancing Judas comes in two exclusive versions: gatefold LP and digipack CD. Make it your own!
Tracklist:01. Grandine
02. Four things
03. Distance
04. Quarter
05. Miniver
06. Gordon, rest in peace
07. Canalese landscape
08. H7-25
Fuh are: Federico Borelli, Nicolas Joseph Roncea, Edoardo Vogrig, Andrea Pisano.
All songs by Fuh. Lyrics by Nicolas Joseph Roncea and Federico Borelli.
Analogic Recordings by Massimiliano "Mano" Moccia @ Blue Records Studios, Mondovì - August 2009.
Analogic mixing by Mano and Fuh @ Sotto il Mare Studios, Verona / Red House Recordings, Senigallia - November 2009.
"Canalese Landscape" mixed by Cop-Killin' Beat @ Blue Records Studios.
Additional Technicians: Francesco "Frank" Alloa and Ettore "Etere" Magliano.
Mastering by Maurizio Gianotti @ New Mastering, Milano - December 2009.
Graphics & Layout by Edoardo Vogrig.
Released by Smartz, Escape from Today, Canalese Noise.
SM047CD - CD digipack 2010 -
10 €
All songs by Fuh. Lyrics by Nicolas Joseph Roncea and Federico Borelli.
Analogic Recordings by Massimiliano "Mano" Moccia @ Blue Records Studios, Mondovì - August 2009.
Analogic mixing by Mano and Fuh @ Sotto il Mare Studios, Verona / Red House Recordings, Senigallia - November 2009.
"Canalese Landscape" mixed by Cop-Killin' Beat @ Blue Records Studios.
Additional Technicians: Francesco "Frank" Alloa and Ettore "Etere" Magliano.
Mastering by Maurizio Gianotti @ New Mastering, Milano - December 2009.
Graphics & Layout by Edoardo Vogrig.
Released by Smartz, Escape from Today, Canalese Noise.
Audiodrome
«Dancing Judas, nuovo lavoro per i canalesi Fuh, colpisce l’ascoltatore con una caleidoscopica sarabanda noise dai contorni indie e dal taglio sguaiatamente punk, una formula dagli equilibri instabili e in perenne divenire: ora delicata e carezzevole, ora urticante e aggressiva (senza, però, mai abbandonare una sorta di garbo genetico).
La combinazione delle varie anime del Fuh-pensiero rende possibile una scrittura al contempo ricca e mai sovrabbondante, quasi che i singoli elementi in gioco si equilibrassero a vicenda e impedissero i rispettivi eccessi, il che è al contempo l’arma vincente e il limite del lavoro, in perenne bilico tra opposte tendenze, ma - proprio per questo - a tratti pericolosamente vicino ad una sorta di manierismo buonista. In realtà, la formazione riesce a scongiurare il pericolo e muta a suo vantaggio questo elemento per comporre brani complessi e ricchi di sfumature, evidenti proprio in quanto non sepolte dalla furia cieca del noise e mai troppo mielose o ruffiane. Il lavoro certosino che la formazione compie sui dettagli e sui singoli incastri rende Dancing Judas un album dalla personalità spiccata, oltre che immediatamente riconoscibile, nonostante si trovi a bazzicare lidi non proprio vergini o meglio unisca in sé le fisionomie di vari luoghi conosciuti. Un capitolo a parte meriterebbero dei piccoli colpi di genio come la finale “H7-25”, composizione su cui compare come guest Luca Ferrari (Verdena), il cui andamento sghembo fa il pari con una sinuosità cui è davvero impossibile resistere, esempio perfetto di quel fragile punto di equilibrio di cui si parlava poco sopra e reale asso nella manica dei Fuh. Un briciolo di ruvidezza e cattiveria in più non avrebbero guastato, ma nel complesso si tratta di un lavoro riuscito pressoché sotto ogni punto di vista.» (Michele Giorgi)
Blow UpLa combinazione delle varie anime del Fuh-pensiero rende possibile una scrittura al contempo ricca e mai sovrabbondante, quasi che i singoli elementi in gioco si equilibrassero a vicenda e impedissero i rispettivi eccessi, il che è al contempo l’arma vincente e il limite del lavoro, in perenne bilico tra opposte tendenze, ma - proprio per questo - a tratti pericolosamente vicino ad una sorta di manierismo buonista. In realtà, la formazione riesce a scongiurare il pericolo e muta a suo vantaggio questo elemento per comporre brani complessi e ricchi di sfumature, evidenti proprio in quanto non sepolte dalla furia cieca del noise e mai troppo mielose o ruffiane. Il lavoro certosino che la formazione compie sui dettagli e sui singoli incastri rende Dancing Judas un album dalla personalità spiccata, oltre che immediatamente riconoscibile, nonostante si trovi a bazzicare lidi non proprio vergini o meglio unisca in sé le fisionomie di vari luoghi conosciuti. Un capitolo a parte meriterebbero dei piccoli colpi di genio come la finale “H7-25”, composizione su cui compare come guest Luca Ferrari (Verdena), il cui andamento sghembo fa il pari con una sinuosità cui è davvero impossibile resistere, esempio perfetto di quel fragile punto di equilibrio di cui si parlava poco sopra e reale asso nella manica dei Fuh. Un briciolo di ruvidezza e cattiveria in più non avrebbero guastato, ma nel complesso si tratta di un lavoro riuscito pressoché sotto ogni punto di vista.» (Michele Giorgi)
«Grandine e Four Things sono solo i primi due pezzi ma già ci dicono tante cose dei Fuh, di quello che possono dire e del modo che hanno scelto per dirlo. Il rifferama ci ricorda le produzioni del periodo d'oro della Ebullition, quelle chitarre che sembrano ripartire ogni volta, a singhiozzo ma in un movimento fluido, aggiungiamoci le melodie tese che rievocano una bella fetta di post-punk americano e mettiamoci pure un pizzico di "indie-rock", qualunque cosa questo ormai voglia dire. Si sente che i Fuh sono un gruppo che ha già superato la fase delle potenzialità e inizia a trovare decisamente la propria strada, che siano le geometrie emotive di Quarter (in assoluto uno dei pezzi migliori del disco), la lunga sequenza che è la conclusiva HT-25 o gli inserti folcloristici (la banda di paese con campanile di Miniver) e ambientali di Canalese Landscape. Per ora (7) ma va stretto ai ragazzi piemontesi che potrebbero anche passare a cantare in italiano e andare molto presto oltre verso una completa e definitiva maturazione. Bravi.» (Roberto Canella)
Comunicazione Interna «Fertile terra noise e math-rock il Canalese, che tra i suoi frutti saporiti può annoverare sia gli Io monade che i Fuh! Tra l'altro i due gruppi potrebbero essere considerati una vera e propria famiglia allargata – e a riprova guardate i nomi dei componenti dei Fuh e poi scorrete la tracklist dell'ultimo disco di Io monade stanca - con Nicolas Joseph Roncea (chitarrista, bassista e vocalist) a fungere da "pater familias" in quanto membro di entrambe le formazioni. Amicizie comuni, attitudini condivise e percorsi similari, ma è pure giusto sottolineare le peculiarità dei due gruppi, visto che di entità diverse pur sempre si tratta, e quindi concentriamoci un attimo sui Fuh e sul loro nuovo disco, dato che nel recente passato ci siamo già diffusamente occupati di Io monade stanca.
Meno convulsi/contorti/schizzati rispetto al loro gruppo "gemello", i Fuh suonano estremamente fisici e coinvolgenti dal primo all'ultimo minuto di "Dancing Judas": con un'ottima tecnica messa al servizio di brani molto fluidi - anche quando intervellati da stacchi ripetuti - il quartetto affonda i suoi colpi migliori là dove l'epica veemenza di certi slanci rumoristici viene prosciugata improvvisamente in riff saettanti di chitarra ("H7-25") o in giri ruspanti di basso ("Miniver"), lasciandoci così apprezzare il fine lavoro di cesello operato in studio di registrazione. Un'attenzione per il dettaglio questa (vedi in tal senso anche il canto di tromba che accompagna il rotolare di "Four things" o la parentesi ambient-noise di "Canalese landscape") che non mortifica affatto l'immediatezza della proposta ed anzi direi che la bontà del disco sta proprio in questa capacità di sintesi tra cura del suono ed impulsività dell'esecuzione, tra razionalità matematica e primitivo istinto rock'n'roll. Avanti così!» (Guido Gambacorta)
DagheishaMeno convulsi/contorti/schizzati rispetto al loro gruppo "gemello", i Fuh suonano estremamente fisici e coinvolgenti dal primo all'ultimo minuto di "Dancing Judas": con un'ottima tecnica messa al servizio di brani molto fluidi - anche quando intervellati da stacchi ripetuti - il quartetto affonda i suoi colpi migliori là dove l'epica veemenza di certi slanci rumoristici viene prosciugata improvvisamente in riff saettanti di chitarra ("H7-25") o in giri ruspanti di basso ("Miniver"), lasciandoci così apprezzare il fine lavoro di cesello operato in studio di registrazione. Un'attenzione per il dettaglio questa (vedi in tal senso anche il canto di tromba che accompagna il rotolare di "Four things" o la parentesi ambient-noise di "Canalese landscape") che non mortifica affatto l'immediatezza della proposta ed anzi direi che la bontà del disco sta proprio in questa capacità di sintesi tra cura del suono ed impulsività dell'esecuzione, tra razionalità matematica e primitivo istinto rock'n'roll. Avanti così!» (Guido Gambacorta)
«Sapevo che questo sarebbe stato il disco della svolta per i Fuh e i ragazzi canalesi non mi hanno tradito. L'esperienza accumulata dal vivo al fianco di The National, Marlene Kuntz, Teatro Degli Orrori e Jennifer Gentle ha permesso alla loro folle mistura tra Motorpsycho e Jesus Lizard di assumere caratteristiche lesive anche in studio di registrazione. L'impatto di canzoni quali 'Grandine', 'Distance' e 'Miniver' non è infatti descrivibile con le sole parole. Dovete trovarvi dinanzi allo stereo con lo splendido digipack di 'Dancing Judas' tra le mani sudate e lasciarvi investire da feedback e distorsioni di ogni tipo. Influenze metal, prog e noise si intrecciano con testi suburbani, richiami shoegaze in 'Canalese Landscapes' e i sintetizzatori di Luca Ferrari dei Verdena in 'H7-25'. 'Extinct' ci aveva già dato misura del loro valore ma questo album rappresenta la definitiva consacrazione di Federico Borelli, Nicolas Joseph Roncea, Edoardo Vogrig e Andrea Pisano. Fuh nasce,cresce e molto probabilmente morirà a Canale dicono loro. Mi auguro proprio di no perché in Italia sono pochi i gruppi che possono vantare brani del genere e un impatto simile.» (Divine)
Extra Music Magazine «Se nel promo d’esordio avevamo trovato un incrocio si sonorità straordinariamente eclettiche dettate da una padronanza di formule capaci di emergere dalle influenze del genere, con le ultime nove tracce sfoderate in ”Dancing Judas” le quattro argute menti dei Fuh lavorano sulla materia prima, quella fatta di partiture post punk e muscolature indie rock, scandagliando con sicura concretezza uno stile dall’impatto indelebile.
Pasta sonora come sempre satura, distorta e decostruita, ingestibile come ci piace tanto e a servizio di sonorità autonome e pensanti, quelle fatte di intrugli di chitarre, cavalcate controtempo, avvisaglie noise, ritmiche arzigogolate ed invalicabili domini di bassi e batterie, inossidabili ossature che qui prendono la (s)volta spostando il baricentro verso le dinamiche più attenuanti.
Sia chiaro tutt’altro che ridotti all’inoffensivo, tracce quali ”Grandine” e ”Miniver” fungeranno da vaccino mentre i 7.29 minuti di ”Four Things” mostreranno nella loro perfezione formale un’iniettata classe per assolo, vortici e dilatazioni vedi le coda per fiati e arpeggi.
Di volta in volta ne risulta una dedizione nella costruzione della traccia, non importa che le forme siano accresciute o costipate nei ritmi, tutto va a servizio di una spontanea introversione. Ribelli e alienati quanto basta si fanno strada quasi come eleganti salmi di dannazione nelle introduzioni per batteria e chitarre di ”Distance” o le cerebrali espressività di ”Gordon, Rest in Peace”.
Questo è il presente, una formula a colpo sicuro arricchita di ritmiche e strumenti che non pagano pegno con la pregnante morbosità e l’innata fantasia sonora dei Fuh . Uscita ad effetto certi che questo disco non prenderà la polvere» (Sara Bracco)
HateTvQuesto è il presente, una formula a colpo sicuro arricchita di ritmiche e strumenti che non pagano pegno con la pregnante morbosità e l’innata fantasia sonora dei Fuh . Uscita ad effetto certi che questo disco non prenderà la polvere» (Sara Bracco)
«I casi possono essere solo due: o Cuneo è una città di merda oppure è bellissima.
Non si spiegherebbe altrimenti una tale concentrazione di formazioni musicali così eccellenti in quello che comunemente viene indicato come un posto dimenticato da Dio (ma forse non dal diavolo). A cominciare da quei Marlene Kuntz oggigiorno tanto snobbati, passando dai numerosi mostri di bravura come Cani Sciorri, Io Monade Stanca ed altri fino ai Dead Elephant, una delle più alte vette artistiche che abbiamo in Italia; io non so voi, ma queste coincidenze di solito le chiamano “scene”.
Al calderone artistico vanno aggiunti (oltre che lo scrittore-tatuatore hardcore Nicolai Lilin) anche i giovani Fuh, gruppo post-punk insieme da quasi dieci anni e con già diverse uscite e collaborazioni interessanti all'attivo, ma è solo con la recente uscita Dancing Judas che si beccano a pieno merito il diritto di essere uno dei progetti più interessanti dell'anno.
Infatti questo ultimo disco è un campionario di impeto musicale ed ispirazione, si dice usualmente “maturo”, e non c'è tempo neanche di scaldarsi in tranquillità per i quattro Fuh che già dalla prima canzone Grandine esplodono in schegge di riff sanguinolenti e ritmi composti mozzafiato. Ma non ci sono solo chitarre e rullate in Dancing Judas, dove ogni particolare è studiato e arricchito con rumori lancinanti e sonorità ricercate. A seguire troviamo Four Things, una suite eccellentemente articolata con tanto di assolo finale di tromba - mica la solita solfa noise di 7 minuti – prova di quanto il gruppo abbia maturato dall'ascolto di tre nomi che risaltano lungo buona parte delle canzoni, tre titani ispiratori che giocano a braccio di ferro in perenne equilibrio: King Buzzo, Steve Albini e Ian Mackaye, con relativi gruppi storici.
Con Quarter si apre una parentesi più post-rock, mentre l'hardcore tiratissimo di Miniver esalta l'unica componente del gruppo che finora non aveva dimostrato grandi peculiarità: la voce; per il resto la formula è semplice per quanto efficace: la semplicità melodica e l'ostinata ripetizione delle frasi musicali rendono le canzoni travolgenti ed accattivanti, è l'effetto del morso di una tarantola e vorresti non finisse mai. Arrivi a Gordon, Rest In Peace e ti senti come in trance, travolto da distorsioni, suoni dilaniati, tempi dispari e ingegni acustici che ti fanno sembrare la realtà un grande attacco epilettico; giusto il tempo di placarsi un momento con la paludosa sfera sonora Canalese Soundscape e ridestarsi con l'ultima canzone, la geniale e definitiva H7-25, in collaborazione con Luca Ferrari dei Verdena.
Ed alla fine di Dancing Judas ti senti svuotato delle energie, sfinito e al contempo felice, desideroso di ricominciare quel percorso frastagliato fin dall'inizio, se le forze te lo permetteranno. Con questo lavoro maturo ed intelligente i Fuh hanno fatto maggiore luce su una scena formidabile, se vogliamo un periodo d'oro che segretamente è cresciuto fino ad esplodere in quella miriade di gruppi italiani post-qualunque-cosa che tutto il mondo può invidiarci.» (Antonio Garosi)
Impatto SonoroNon si spiegherebbe altrimenti una tale concentrazione di formazioni musicali così eccellenti in quello che comunemente viene indicato come un posto dimenticato da Dio (ma forse non dal diavolo). A cominciare da quei Marlene Kuntz oggigiorno tanto snobbati, passando dai numerosi mostri di bravura come Cani Sciorri, Io Monade Stanca ed altri fino ai Dead Elephant, una delle più alte vette artistiche che abbiamo in Italia; io non so voi, ma queste coincidenze di solito le chiamano “scene”.
Al calderone artistico vanno aggiunti (oltre che lo scrittore-tatuatore hardcore Nicolai Lilin) anche i giovani Fuh, gruppo post-punk insieme da quasi dieci anni e con già diverse uscite e collaborazioni interessanti all'attivo, ma è solo con la recente uscita Dancing Judas che si beccano a pieno merito il diritto di essere uno dei progetti più interessanti dell'anno.
Infatti questo ultimo disco è un campionario di impeto musicale ed ispirazione, si dice usualmente “maturo”, e non c'è tempo neanche di scaldarsi in tranquillità per i quattro Fuh che già dalla prima canzone Grandine esplodono in schegge di riff sanguinolenti e ritmi composti mozzafiato. Ma non ci sono solo chitarre e rullate in Dancing Judas, dove ogni particolare è studiato e arricchito con rumori lancinanti e sonorità ricercate. A seguire troviamo Four Things, una suite eccellentemente articolata con tanto di assolo finale di tromba - mica la solita solfa noise di 7 minuti – prova di quanto il gruppo abbia maturato dall'ascolto di tre nomi che risaltano lungo buona parte delle canzoni, tre titani ispiratori che giocano a braccio di ferro in perenne equilibrio: King Buzzo, Steve Albini e Ian Mackaye, con relativi gruppi storici.
Con Quarter si apre una parentesi più post-rock, mentre l'hardcore tiratissimo di Miniver esalta l'unica componente del gruppo che finora non aveva dimostrato grandi peculiarità: la voce; per il resto la formula è semplice per quanto efficace: la semplicità melodica e l'ostinata ripetizione delle frasi musicali rendono le canzoni travolgenti ed accattivanti, è l'effetto del morso di una tarantola e vorresti non finisse mai. Arrivi a Gordon, Rest In Peace e ti senti come in trance, travolto da distorsioni, suoni dilaniati, tempi dispari e ingegni acustici che ti fanno sembrare la realtà un grande attacco epilettico; giusto il tempo di placarsi un momento con la paludosa sfera sonora Canalese Soundscape e ridestarsi con l'ultima canzone, la geniale e definitiva H7-25, in collaborazione con Luca Ferrari dei Verdena.
Ed alla fine di Dancing Judas ti senti svuotato delle energie, sfinito e al contempo felice, desideroso di ricominciare quel percorso frastagliato fin dall'inizio, se le forze te lo permetteranno. Con questo lavoro maturo ed intelligente i Fuh hanno fatto maggiore luce su una scena formidabile, se vogliamo un periodo d'oro che segretamente è cresciuto fino ad esplodere in quella miriade di gruppi italiani post-qualunque-cosa che tutto il mondo può invidiarci.» (Antonio Garosi)
«"In Piemonte c'è sempre tanta voglia di spingere forte sull'acceleratore, e sul distorsore, prendere, e spaccare tutto. Bastavano già i Dead Elephant e qualche altro a dimostrarlo ma poi sono arrivati anche i Fuh, il cui rito d'iniziazione li aveva fatti passare per derive hardcore fuse con il noise più grezzo dei Sonic Youth meno studiati, per poi finire col tempo ad evolversi in maniera molto ampia, mirando verso orizzonti di cui stupisce soprattutto l'ambizioso tentativo di raggiungerli. E anche il verdetto, positivo, della ricerca.
Cosa c'è in Dancing Judas? Qualche elemento (o più che elemento, rimasuglio) del loro "beginning" hardcore, un po' di incontri con l'anima più pop dei Motorpsycho, violentati dalla cattiveria piemontese, le forme istintive della composizione metal o prog, le distorsioni che sembrano grunge o di chi il grunge lo ha comunque masticato per tanto, troppo tempo. Ed ecco per l'appunto Luca Ferrari, ospite al synth in H7-25, un pezzo che sa quasi di Jesus Lizard più rallentati, più disillusi, in ogni caso abbastanza pesante da darti l'idea che lo sludge dei Cult of Luna più potenti sia lì dietro l'angolo, ma con una voce migliore. Magnus Ryan e soci di nuovo in Gordon, Rest In Peace, ma con un tappeto sonoro che ricorda molto i Russian Circles. Noise assolutamente ambient, quasi shoegaze, in Canalese Landscape, così come un po' di post-punk si nasconde neanche troppo velatamente nei distorti e nel comparto ritmico di Distance. Non dimentichiamo poi le impennate più potenti del disco, che con quell'anima hardcore che dicevamo ci va a nozze, nonostante i tentativi di distaccarsene. Ecco infatti che la furia di Miniver ti spara dritta in faccia tonnellate di fuzz, overdrive esagerati, un lavoro di batteria ottimo e un gusto per i suoni che in Italia si può ritrovare raramente.
I Fuh hanno deciso di puntare in alto. C'è la voglia di non ripetere niente che fosse già stato detto, fatto o scritto. C'è poi la consapevolezza che non è cosa facile, ma ci provano lo stesso, regalando alla scena italiana un gioiello di cui aveva davvero bisogno. Milioni di sfumature diverse riunite in un unico grande prodotto finale, come cinquanta sottilissimi fili fatti passare per un'unica cruna d'ago. Eccezionali, sfrontati, pazzeschi." Voto: 8.5» (Emanuele Brizzante)
In Nome Della MusicaCosa c'è in Dancing Judas? Qualche elemento (o più che elemento, rimasuglio) del loro "beginning" hardcore, un po' di incontri con l'anima più pop dei Motorpsycho, violentati dalla cattiveria piemontese, le forme istintive della composizione metal o prog, le distorsioni che sembrano grunge o di chi il grunge lo ha comunque masticato per tanto, troppo tempo. Ed ecco per l'appunto Luca Ferrari, ospite al synth in H7-25, un pezzo che sa quasi di Jesus Lizard più rallentati, più disillusi, in ogni caso abbastanza pesante da darti l'idea che lo sludge dei Cult of Luna più potenti sia lì dietro l'angolo, ma con una voce migliore. Magnus Ryan e soci di nuovo in Gordon, Rest In Peace, ma con un tappeto sonoro che ricorda molto i Russian Circles. Noise assolutamente ambient, quasi shoegaze, in Canalese Landscape, così come un po' di post-punk si nasconde neanche troppo velatamente nei distorti e nel comparto ritmico di Distance. Non dimentichiamo poi le impennate più potenti del disco, che con quell'anima hardcore che dicevamo ci va a nozze, nonostante i tentativi di distaccarsene. Ecco infatti che la furia di Miniver ti spara dritta in faccia tonnellate di fuzz, overdrive esagerati, un lavoro di batteria ottimo e un gusto per i suoni che in Italia si può ritrovare raramente.
I Fuh hanno deciso di puntare in alto. C'è la voglia di non ripetere niente che fosse già stato detto, fatto o scritto. C'è poi la consapevolezza che non è cosa facile, ma ci provano lo stesso, regalando alla scena italiana un gioiello di cui aveva davvero bisogno. Milioni di sfumature diverse riunite in un unico grande prodotto finale, come cinquanta sottilissimi fili fatti passare per un'unica cruna d'ago. Eccezionali, sfrontati, pazzeschi." Voto: 8.5» (Emanuele Brizzante)
«Quando il sano rock si fonde con delle venature progressive l'indiee il noise, questo è il risultato: FUH. Il quartetto di Canale, vicino Alba, in provincia di Cuneo
si è formato nel 2001 e non ha mai cambiato line-up.
I Fuh hanno all'attivo già 3 albums oltre all'ultimo "Dancing Judas" uscito il 13 marzo.
Nel disco si alternano pezzi diretti e trascinanti (Grandine, Distance) a pezzi lenti ma mai banali (Four Things, Canalese Landscapes)
La ritmica è solida e ben strutturata, le chitarre penetranti e dirette, la voce condisce il tutto ed esalta la bellezza di ogni pezzo.
Nel disco si sente tutta la loro esperienza (hanno calcato il palco con artisti del calibro di Arctic Monkeys, Marlene Kuntz, Il Teatro degli Orrori,
Tre Allegri Ragazzi Morti e Verdena) e la loro ricerca sia del sound che compositiva.
Il disco è stato registrato nell'agosto del 200' presso il blue record studio di Mondovi (Cuneo) interamente in analogico e mixato presso
lo studio "Sotto il mare" di Verona e il "Red house recording studio" di Sinigallia da Massimo Moccia.
Nel disco hanno collaborato Luca Ferrari(verdena) al Synth in h7-25, andrea cancedda, chitarrista blues, in Quarter ed infine
Fabio "Fiambo" Rista alla tromba in four things.
Ottimo lavoro, buone prospettive di ulteriore crescita.» (Manuel Zito)
Komakino «I Fuh sono di Alba, Piemunt, e giusto questo mese il quartetto se ne esce con un disco brillante a quattro mani coprodotto da Escape From Today e Smartz rec, - a tracciare una linea che unisce le frenetiche chitarre di Unwound, Pretty Girls Make Graves (Grandine, Distance) e un paio di rispettabili digressioni cinematiche strumentali à la Motorpsycho, At the Drive in (Four things). Caoticamente influenzati dall'hardcore, percussioni acrobatiche (Miniver) capaci di solidificare la maturità acquisita in 10 anni (se non erro) di attività, - in più sono anche capaci di fare capoccella su del più avvicinabile alternative noise rock (il finale armonico in cresendo di Gordon rest in peace): insomma, i Fuh picchiano duro, suonano taglienti, - un bel disco dall'inizio alla fine, da suonare a volume alto in cuffia, - la produzione dei suoni è illuminata e procura la giusta benzina e adrenalina per i fuochi che non mancano di accendersi ed esplodere. L'ultima traccia H7-25, introdotta da bucolici cinguettii elettrici nel precedente interludio Canalese landscapes, con un falso stop nel mezzo, è forgiata per essere la traccia perfetta per chiudere un concerto, - con l'arrivo nel finale di luci strobo e il pubblico che fa stage diving: fantascienza in Italia.. ma prima o poi..» (Paolo Miceli)
Komakino (eng) «Fuh are from Alba, Piemonte, northern Italy, right this month the four piece band comes out with a brilliant record released by two local indies, Escape From Today and Smartz rec, drawing a line connecting the frenzied guitars of Unwound, Pretty Girls Make Graves (Grandine, Distance) and a couple of respectable instrumental cinematic digressions à la Motorpsycho, At the Drive in (Four things). Frenetically hardcore-influenced, acrobatic percussions (Miniver) able to solidify their achievied maturity in ten years of activity (am i right?), plus, They are also capable of some alternative noise rock-friendly writing (the harmonic final swell of Gordon rest in peace): Fuh kick hard, sound sharp, - a good record from top to bottom, to play out loud through your headphones, the sound production is bright and provides the right fuel and adrenaline for their blasting fires. Last track H7-25, introduced by the bucolic electric twitters of the previous Canalese landscapes, with a false stop in the middle, is shaped to be the perfect track to close a live show with strobo lights and kids stage diving: hard to see in Italy.. but who knows.. soon or later...» (Paolo Miceli)
Maicasajusta «Nei vangeli gnostici tramandati dalle piccole etichette discografiche (qui Smartz Records in collaborazione con Escape From Today e Canalese Noise) quello dei cuneesi Fuh non è un bacio traditore.
Sono labbra che si accostano alla giugulare ammantando il collo di un respiro smanioso.
Turgide, livide, pregne della fierezza di chi non necessita remissioni di colpa alcuna.
Scivolano tra saliva ed incisivi temperati, tra secrezioni melodiche e segni netti delle costruzioni ritmiche (Gordon Rest In Peace), fra pulsioni vivide e platonismi.
Dancing Judas è un contatto fremente a cui ci lascia andare. E' viola come il sesso e come il sesso insaporisce i corpi di carnalità e di sudore (l'anima post-core che si agita in Miniver o ti cade in testa come Grandine), di armoniosità e carezza (gli spunti psych di Canalese Landscape, le sfumature pop di Four Things), li intreccia fino a trovare l'incastro giusto, la posizione che liberi gli istinti sottoforma di canzone. Appaga e con un fil di voce si potrebbe, a volte, chiederne un bis.» (Maicasajusta)
Miusika.netDancing Judas è un contatto fremente a cui ci lascia andare. E' viola come il sesso e come il sesso insaporisce i corpi di carnalità e di sudore (l'anima post-core che si agita in Miniver o ti cade in testa come Grandine), di armoniosità e carezza (gli spunti psych di Canalese Landscape, le sfumature pop di Four Things), li intreccia fino a trovare l'incastro giusto, la posizione che liberi gli istinti sottoforma di canzone. Appaga e con un fil di voce si potrebbe, a volte, chiederne un bis.» (Maicasajusta)
«Credo che quando non si conosce l’autore di un libro o di un cd più di un acquisto sia influenzato dalla copertina, dal titolo, dal nome della band o dalle note di copertina.
Quando poi più di questi elementi si combinano tra loro credo che la curiosità scatti immediatamente.
Penso che ciò possa adattarsi benissimo ai Fuh e al loro primo album Dancing Judas, che appunto unisce un nome particolare (Fuh), un titolo stuzzicante (in particolare per i fan di Dylan Dog) Dancing Judas ovvero Giuda Ballerino e una copertina davvero bella, di Edoardo Vogrig che ha curato tutto l’artwork dell’album.
Chiaro che poi per non rimanere terribilmente delusi, all’apparenza, o meglio all’idea che ci siamo fatti del contenuto, deve accompagnarsi la sostanza.
Devo dire che nel caso dei Fuh e del loro Dancing Judas le cose sono andate meglio di quanto mi aspettassi.
I Fuh sono il classico gruppo promettente nato nel periodo delle scuole superiori, che però ha avuto il merito e la forza di non sgretolarsi una volte finito il periodo “gioioso” e il conseguente indirizzamento dei vari componenti su altre strade, chi lavoro, chi università, chi altro. Di solito di fronte a questa svolta della vita la gran parte dei gruppi, anche quelli molto promettenti purtroppo, finiscono sotto una pietra tombale e vivono al massimo nei ricordi dei protagonisti e dei loro amici. I Fuh al contrario sono riusciti a sopravvivere a questo momento. Il risultato è una band che suona insieme da circa 10 anni e che ha dato notizia di sé attraverso vari demo più o meno interessanti.
Partiti come band punk-HC hanno via via inserito nel loro sound sonorità diverse, fino ad arrivare a quello attuale testimoniato appunto da Dancing Judas.
Questi anni passati a suonare insieme si sentono eccome, i Fuh sono belli compatti e hanno raggiunto una capacità di scrittura in cui si nota tutta la loro esperienza. Già dalla iniziale e coinvolgente Grandine ci si potrebbe fare una idea del sound dei Fuh, ma sarebbe una idea assai parziale, infatti ad un ascolto distratto e non conoscendo il background della band piemontese si potrebbe pensarli come degli imitatori de Il Teatro degli Orrori e, chiariamolo subito, non ci sarebbe niente di male essendo gli ITDO uno tra i 5 migliori gruppi italiani attuali, ma non sarebbe corretto nei confronti del lungo percorso fatto dai Fuh in questi anni che li ha visti calcare i palchi insieme a gente del calibro di Arctic Monkeys, Marlene Kuntz, Jennifer Gentle, Il Teatro degli Orrori, Tre Allegri Ragazzi Morti e Verdena. Non a caso Luca Ferrari dei Verdena da un goliardico contributo suonando il synth sul remake di H7-25 dei Fuh. Già dal secondo brano Four Things vien fuori tutta la cifra dei Fuh, un brano davvero molto bello arricchito dalla tromba di Fabio “Fiambo” Rista nel quale è evidente la voglia di andare oltre le sonorità di riferimento, comuni appunto agli ITDO, e dove si mostra splendente la personalità dei Fuh.
Quindi, nel caso non si fosse capito, le radici dei Fuh prendono linfa e spunto dai Jesus Lizard e dalla scuola Dischord, cioè Fugazi, Shudder to Think e Jawbox. Però è evidente durante l’ascolto degli 8 brani che compongono Dancing Judas, la voglia di andare oltre, pur mantenendo dei precisi punti di riferimento, di esplorare altre sonorità, di contaminare queste radici e di dar sfogo al proprio modo di vedere un certo tipo di suono. Proprio per questo, cercando di allontanarsi da un certo tipo di sonorità, ci si avvicina ad altre precedenti e che molto probabilmente il quartetto non ha mai sentito, infatti in certi momenti possono ricordare i migliori Comsat Angels in particolare sulle chitarre.
L’unico punto debole di Dancing Judas è la parte vocale che non è allo stesso (alto) livello della parte strumentale e compositiva, si nota specialmente quando spingono di più sul melodico e sul poppeggiante dove è più facile sentire un minor controllo. La scelta dell’inglese in questo non li ha aiutati, so che hanno fatto un lavoro di rifinitura sia sui testi che sulla pronuncia, però si sente, quando la voce è più avanti, la pronuncia non anglosassone.
Peccato? o per fortuna?
Tutte e due le cose secondo me. Peccato perché da papabile candidato a disco dell’anno Dancing Judas passa a buon disco, che comunque non è poco. Per fortuna perché questo, per nostra grande gioia, garantisce ai Fuh ampissimi spazi di crescita e ulteriore miglioramento. Chiaro che tutto ciò passa attraverso la scelta di cantare anche in Italiano, che soprattutto sulle parti melodiche mette di fronte ai propri limiti e di conseguenza t’impone o di superarli o di adattarsi ad essi facendoli diventare punto di forza. Capovilla docet.
Davvero buono il lavoro di produzione ad opera degli stessi Fuh, Francesco Alloa e di Massimilano “Mano” Moccia.
In conclusione, Dancing Judas dei Fuh non sarà il disco dell’anno 2010 (per me ovvio) ma è comunque un buon disco (con alcuni brani davvero ottimi) e si merita ampiamente il bollino Consigliati da Miusika nonché i soldini per comprarlo.
Bravi Fuh, il vostro fu(h)turo musicale dipende solo da voi.» (Mario)
Nerds AttackQuando poi più di questi elementi si combinano tra loro credo che la curiosità scatti immediatamente.
Penso che ciò possa adattarsi benissimo ai Fuh e al loro primo album Dancing Judas, che appunto unisce un nome particolare (Fuh), un titolo stuzzicante (in particolare per i fan di Dylan Dog) Dancing Judas ovvero Giuda Ballerino e una copertina davvero bella, di Edoardo Vogrig che ha curato tutto l’artwork dell’album.
Chiaro che poi per non rimanere terribilmente delusi, all’apparenza, o meglio all’idea che ci siamo fatti del contenuto, deve accompagnarsi la sostanza.
Devo dire che nel caso dei Fuh e del loro Dancing Judas le cose sono andate meglio di quanto mi aspettassi.
I Fuh sono il classico gruppo promettente nato nel periodo delle scuole superiori, che però ha avuto il merito e la forza di non sgretolarsi una volte finito il periodo “gioioso” e il conseguente indirizzamento dei vari componenti su altre strade, chi lavoro, chi università, chi altro. Di solito di fronte a questa svolta della vita la gran parte dei gruppi, anche quelli molto promettenti purtroppo, finiscono sotto una pietra tombale e vivono al massimo nei ricordi dei protagonisti e dei loro amici. I Fuh al contrario sono riusciti a sopravvivere a questo momento. Il risultato è una band che suona insieme da circa 10 anni e che ha dato notizia di sé attraverso vari demo più o meno interessanti.
Partiti come band punk-HC hanno via via inserito nel loro sound sonorità diverse, fino ad arrivare a quello attuale testimoniato appunto da Dancing Judas.
Questi anni passati a suonare insieme si sentono eccome, i Fuh sono belli compatti e hanno raggiunto una capacità di scrittura in cui si nota tutta la loro esperienza. Già dalla iniziale e coinvolgente Grandine ci si potrebbe fare una idea del sound dei Fuh, ma sarebbe una idea assai parziale, infatti ad un ascolto distratto e non conoscendo il background della band piemontese si potrebbe pensarli come degli imitatori de Il Teatro degli Orrori e, chiariamolo subito, non ci sarebbe niente di male essendo gli ITDO uno tra i 5 migliori gruppi italiani attuali, ma non sarebbe corretto nei confronti del lungo percorso fatto dai Fuh in questi anni che li ha visti calcare i palchi insieme a gente del calibro di Arctic Monkeys, Marlene Kuntz, Jennifer Gentle, Il Teatro degli Orrori, Tre Allegri Ragazzi Morti e Verdena. Non a caso Luca Ferrari dei Verdena da un goliardico contributo suonando il synth sul remake di H7-25 dei Fuh. Già dal secondo brano Four Things vien fuori tutta la cifra dei Fuh, un brano davvero molto bello arricchito dalla tromba di Fabio “Fiambo” Rista nel quale è evidente la voglia di andare oltre le sonorità di riferimento, comuni appunto agli ITDO, e dove si mostra splendente la personalità dei Fuh.
Quindi, nel caso non si fosse capito, le radici dei Fuh prendono linfa e spunto dai Jesus Lizard e dalla scuola Dischord, cioè Fugazi, Shudder to Think e Jawbox. Però è evidente durante l’ascolto degli 8 brani che compongono Dancing Judas, la voglia di andare oltre, pur mantenendo dei precisi punti di riferimento, di esplorare altre sonorità, di contaminare queste radici e di dar sfogo al proprio modo di vedere un certo tipo di suono. Proprio per questo, cercando di allontanarsi da un certo tipo di sonorità, ci si avvicina ad altre precedenti e che molto probabilmente il quartetto non ha mai sentito, infatti in certi momenti possono ricordare i migliori Comsat Angels in particolare sulle chitarre.
L’unico punto debole di Dancing Judas è la parte vocale che non è allo stesso (alto) livello della parte strumentale e compositiva, si nota specialmente quando spingono di più sul melodico e sul poppeggiante dove è più facile sentire un minor controllo. La scelta dell’inglese in questo non li ha aiutati, so che hanno fatto un lavoro di rifinitura sia sui testi che sulla pronuncia, però si sente, quando la voce è più avanti, la pronuncia non anglosassone.
Peccato? o per fortuna?
Tutte e due le cose secondo me. Peccato perché da papabile candidato a disco dell’anno Dancing Judas passa a buon disco, che comunque non è poco. Per fortuna perché questo, per nostra grande gioia, garantisce ai Fuh ampissimi spazi di crescita e ulteriore miglioramento. Chiaro che tutto ciò passa attraverso la scelta di cantare anche in Italiano, che soprattutto sulle parti melodiche mette di fronte ai propri limiti e di conseguenza t’impone o di superarli o di adattarsi ad essi facendoli diventare punto di forza. Capovilla docet.
Davvero buono il lavoro di produzione ad opera degli stessi Fuh, Francesco Alloa e di Massimilano “Mano” Moccia.
In conclusione, Dancing Judas dei Fuh non sarà il disco dell’anno 2010 (per me ovvio) ma è comunque un buon disco (con alcuni brani davvero ottimi) e si merita ampiamente il bollino Consigliati da Miusika nonché i soldini per comprarlo.
Bravi Fuh, il vostro fu(h)turo musicale dipende solo da voi.» (Mario)
«C’è furore. Ci sono spigoli vivi. C’è un telaio potente. Massiccio verrebbe da dire. C’è il disco del quartetto piemontese (Cuneo) dei Fuh. C’è un suono diretto come è diretto il nome. C’è una storia sonora che parte dai padri dell’hardcore moderno stanziati a Washington, che passa per coetanei di un’epoca scolpita tra le lettere D-I-S-C-H-O-R-D (pensiamo assieme agli Shudder To Think) e termina nei pressi polverosi di una terra texana angosciante e allo stesso tempo deflagrante (ATDI/Mars Volta). Qualche riga doverosa per inquadrare una band newcomer. Nell’anima della quale ognuno poi troverà liberamente - come sempre - i propri riferimenti. Otto pezzi di granito. Fin troppo quadrati però. Segno di una lezione imparata alla perfezione ma anche segno di una mancanza (fondamentale a volte) di pathos e passione viva. Linearmente validi.» (Emanuele Tamagnini)
NoizeItalia «Senza troppi giri di parole posso affermare che "Dancing Judas" è il disco che dovete fare vostro per scoprire una delle migliori band italiane attualmente in circolazione. Aggiungiamo che si, dai due precedenti ep si intravedeva già come i Fuh avevano le carte in regola per sfornare un full length con i fiocchi, ma dopo averli visti all'opera dal vivo in un concerto intenso come pochi in questi primi 5 mesi del 2010 (a detta del gruppo stesso al 50% della forma... non oso immaginare cosa possano fare a pieno regime!) e aver divorato il cd ammetto che anche le più rosee aspettative sono state superate.
Pensate ad un calderone sonoro dove i Jesus Lizard vanno a braccetto con certo post (punk e rock) meno pretenzioso e più viscerale (At The Drive-In il nome più gettonato) e con un pizzico di noise "ragionato" e avrete un quadro piuttosto fedele del sound dei Fuh. Il fattore X però è dato dall'attitudine, dal feeling che pervade i pezzi: "Grandine" e "Distance" non lasciano scampo con quel piglio "arrembante" ma poi si resta ammaliati e un pò turbati da una "Miniver" e da una "Gordon, Rest In Peace" sottilmente stranianti. E "Four Things" lascia letteralmente senza fiato con quel suo andamento dolente e sofferto che sfocia in una parte quasi tooliana che si conclude con l'utilizzo di una tromba che smorza incredibilmente l'atmosfera, donando un tocco di "pace" e quiete.
"Dancing Judas" si candida come disco italiano (e non solo) dell'anno: diamo il giusto merito ad una band che ha lavorato sempre con umiltà e costanza nello scassato "sottosuolo" italiano e che ha sfornato un disco che è capace di emozionare anche dopo ripetuti ascolti.» (Head)
RockitPensate ad un calderone sonoro dove i Jesus Lizard vanno a braccetto con certo post (punk e rock) meno pretenzioso e più viscerale (At The Drive-In il nome più gettonato) e con un pizzico di noise "ragionato" e avrete un quadro piuttosto fedele del sound dei Fuh. Il fattore X però è dato dall'attitudine, dal feeling che pervade i pezzi: "Grandine" e "Distance" non lasciano scampo con quel piglio "arrembante" ma poi si resta ammaliati e un pò turbati da una "Miniver" e da una "Gordon, Rest In Peace" sottilmente stranianti. E "Four Things" lascia letteralmente senza fiato con quel suo andamento dolente e sofferto che sfocia in una parte quasi tooliana che si conclude con l'utilizzo di una tromba che smorza incredibilmente l'atmosfera, donando un tocco di "pace" e quiete.
"Dancing Judas" si candida come disco italiano (e non solo) dell'anno: diamo il giusto merito ad una band che ha lavorato sempre con umiltà e costanza nello scassato "sottosuolo" italiano e che ha sfornato un disco che è capace di emozionare anche dopo ripetuti ascolti.» (Head)
«Ancora una volta da quelle colline, morbide di vigneti e sobborghi rurali dimenticati da queste schifo di metropoli incanutite, dal Cuneese – quel ringhioso Piemonte noise delle belve Dead Elephant e Cani Sciorrì – si schiantano suoni che respirano un sogno. Ossimori paesaggistici che dimostrano come parlare di scena (il suono di un territorio?) non è propagandistico. Perché i Fuh sono un po' come gli Afraid! nell'alcoolico Triveneto, altra vorticante fucina di rumore. Ma i Fuh non sono (mai stati) fangosi né lisergici, e nemmeno post-blues, come gli amici tra Canale e Fossano. Piuttosto, un collage di amore e citazioni da sempre diviso tra post-punk e derive indie-rock anni novanta. "Dancing Judas" non è più solo Fugazi e propensione all'ignoranza noise da feedback lancinante incontrollato. Meno irriverenti e più sferraglianti, meno fuzzosi e più chimici. Ma soprattutto pop. Che sia quello sommesso e sussurrato mutuato dalle armonie fumose degli Unwound, il miraggio della prepotenza vocale degli At The Drive In o la forma-canzone (?) degli ultimi Motorpsycho, è la forza di un disco altrimenti limitato alle autodistruttive vicissitudini hardcore dei quattro. Tanto che la conclusiva "H7-25" – altrimenti copia/incolla dal precedente "Extinct" (2007) – si arricchisce qui di digressioni effettistiche e reiterate sfocature new-(no)wave. Ma il nuovo corso è quello di "Grandine" e "Four Things": sospensioni e frasi sussurate-urlate su decolorazioni subacquee e lo stesso gusto percussivo per la melodia dei Three Second Kiss. Decostruzioni inzuccherate da rumorini e involucri ferrosi e chitarre zoppicanti, accanto a più ovvie e consumate accelerazioni. "There's a new war but you're sleeping". Vi piacerà.» (Marco Verdi)
Rockshock «A quanto pare, nel sottobosco cuneese, lontano dal monotono scorrere del mainstream, fioriscono guizzi di una scena noise totalmente ignorata dai più. Certo, si può a ragione parlare di underground, tuttavia l’ultima creazione dei FUH, intitolata Dancing Judas, possiede in sé una versatilità che potrebbe quasi renderlo un ponte, una sorta di mediatore tra mondi musicali così distanti.
I quattro FUH sono in giro ormai dal 2001 ed hanno saputo tessere una rete di relazioni con i gruppi che popolano la scena locale, Ruggine in primis, garantendosi di fatto l’appartenenza alla stessa; allo stesso tempo sono arrivati a collaborare on stage, aprendo le esibizioni di numerosi musicisti connazionali ed internazionali.
Per quanto riguarda Dancing Judas, esso concilia un nucleo duro a derive malinconiche: entrate in un progresivo crescendo di batteria galoppante e basso vibrante, ma anche bruschi rallentamenti e l’improvviso scendere di ritmi irregolari ed ipnotici, quasi a voler concedere tempo per riprendere fiato in questo intreccio sonoro selvaggio. C’è spazio anche per il puro rumorismo, che si manifesta evidentemente in Canalese Landscape, rinforzando gli intenti sperimentali contenuti nell’album, e qualche synth affidato a Luca Ferrari dei Verdena.
In effetti a volerne tracciare l’appartenenza ad un’unica, ben delineata corrente musicale, si rischia di uscire fuori dai contorni del disegno e diventa inevitabile considerarli allora come un ibrido ben riuscito, che dosa in egual misura turbinii di rumore e acque calme, immediatezza di raffiche sonore e sospensione carica d’attesa. Buon ascolto e buone montagne russe.» (Delia Bevilacqua)
SentireAscoltare «Extinct ce li aveva introdotti, Dancing Judas ce li mostra nella prima, piena realizzazione matura. Ennesima punta di diamante del cuneese rumoroso, esattamente a metà strada tra Washington e San Diego, i Fuh giungono all’esordio ufficiale per cui sembrano aver tenuto da parte le frecce migliori del loro arco. Se di base il sostrato è grunge, vedi l’innata capacità di mischiare melodia e rumore, i quattro svicolano sinceri e spavaldi tra generi e sottogeneri, sperimentando nuove vie di fuga tramite l’innesto dell’eredità più sperimentale dell’indie-rock dei secondi ’90, di un background fatto di ascolti d’ambito post-hc e di una certa passione per strutture mobili e intricate d’ascendenza math-.
I quattro però, tra spigoli, curve a gomito, variazioni di tempi e luoghi, compongono canzoni. Non necessariamente lineari e legate agli stilemi della forma-canzone, ma pur sempre canzoni: melodiche, accattivanti, intelligibili nonostante le dinamiche interne non siano mai scontate e gli sviluppi dei pezzi possano portare in direzioni inusitate. Notevole l’estenuante lavorio sul particolare che rende ogni pezzo perfettamente equilibrato e affascinante per i mille rivoli sonici che scaturiscono dal corpo principale. Disco dalle sonorità retrò senza però mai risultare datato o tanto meno stantio, Dancing Judas è in definitiva un ottimo disco che farà la gioia di chi è cresciuto nel marasma indie dei nineties. Per chi invece di quei tempi ha solo una conoscenza indiretta, non c'è miglior biglietto da visita.» (Stefano Pifferi)
SodapopI quattro però, tra spigoli, curve a gomito, variazioni di tempi e luoghi, compongono canzoni. Non necessariamente lineari e legate agli stilemi della forma-canzone, ma pur sempre canzoni: melodiche, accattivanti, intelligibili nonostante le dinamiche interne non siano mai scontate e gli sviluppi dei pezzi possano portare in direzioni inusitate. Notevole l’estenuante lavorio sul particolare che rende ogni pezzo perfettamente equilibrato e affascinante per i mille rivoli sonici che scaturiscono dal corpo principale. Disco dalle sonorità retrò senza però mai risultare datato o tanto meno stantio, Dancing Judas è in definitiva un ottimo disco che farà la gioia di chi è cresciuto nel marasma indie dei nineties. Per chi invece di quei tempi ha solo una conoscenza indiretta, non c'è miglior biglietto da visita.» (Stefano Pifferi)
«I Fuh vengono da Canale, Cuneo, Piemonte. E’ necessario specificarlo perché la geografia riveste una certa importanza in questo caso. I quattro personaggi qui coinvolti infatti sembrano possedere una purezza e una passione percepibile in ogni nota che suonano, che appaiono legate in modo indissolubile al luogo dal quale provengono (puro anch’esso e omaggiato in un paio di occasioni: il campionamento di una banda di paese colta all’opera in qualche festa locale e nel titolo di un brano, Canalese Landscape). La musica vissuta forse come via d'uscita dal tedio della provincia, potrebbe essere qualcosa del genere, ma al contrario di quello che sarebbe lecito aspettarsi da casi come questo, non c’è rabbia tra questi solchi, è tutto invece molto solare, aperto. Una sorta di "positive noise rock", dalle radici però ben piantate negli anni ’90: abbastanza palese mi pare l’influenza di gruppi stile Unwound, tanto per intenderci, come dell’hardcore degli At The Drive-In (molto del lavoro delle chitarre ricorda i riff terzinati di Relationship Of Command). Aggiungiamoci ancora qualcosa dei June Of 44 periodo Anahata e sarà possibile avere una vaga idea di quello che i quattro suonano. A volerla dire tutta, certi passaggi, la voce in particolare, mi ricordano anche i Faraquet, gruppo “minore” su Dischord di inizio nuovo millenio. Certo non è da tutti cimentarsi con materiali del genere senza sembrare troppo derivativi. I Fuh, a modo loro, ci riescono, e si percepisce una forte impronta personale nel loro suono. I brani si sviluppano perlopiù in flussi progressivi dalle dinamiche mai scontate, i suoni sono scelti con cura, gli intrecci delle chitarre hanno la precisione dell’ingranaggio di un orologio nucleare, le ritmiche procedono con tiro e sanno mantenerlo anche nei passaggi meno quadrati. In alcuni momenti il gruppo si riserva pure il lusso di giocare con effetti ed elettronica varia, con piccoli interventi mirati che arricchiscono la miscela sonora senza diluirla o snaturarla. Ma quello che in sostanza preme dire è che, a scanso di equivoci, sono proprio i pezzi a reggere l’ascolto, Dancing Judas è essenzialmente un disco pieno di ottime canzoni. Consigliato a chi non è uscito vivo dagli anni ’90, trentenni nostalgici e a chi viaggia ancora con l’autoradio a cassette e i nastri sotto il sedile posteriore.» (Danilo Corgnati)
Storia Della Musica «La cosa più clamorosa è sapere che abbiamo una scena noise-core davvero eccezionale in casa nostra e nessuno sembra essersene accorto. In Piemonte i Fuh sono ormai una realtà di primo piano e si affiancano a gruppi come Putiferio, Sant’Antonio Stuntmen, Io Monade Stanca, Ruggine, Butcher Mind Collapse e via dicendo. No dico, una scena noise-core a due passi da Torino e tutti a perdersi dietro alle banalità pop dei Baustelle o all’indie raffazzonato degli A Toys Orchestra.
E poi ci perdiamo l’essenza della vera musica passionale e violenta (in maniera delicata) come quella prodotta da gruppi di livello come Dead Elephant, Fine Before You Came e Altro. Ma allora diciamocelo che noi italiani siamo ontologicamente scemi, e che certe volte al posto della cioccolata ci piace mangiare la merda, così almeno ci togliamo una volta per tutte ogni speranza che in questo paese si riesca ad istituire non dico un governo decente o una coscienza civica minima, ma anche solo uno spirito critico realmente capace di scavare in profondità del fenomeno artistico in sé.
Una volta si diceva (a torto) che l’underground coincideva con quanto di meglio potesse offrire la musica. Si sbagliava, però almeno si centrava parzialmente il bersaglio e non ci si faceva sfuggire grandi artisti e band abbandonate dal sistema mass-mediatico dominante. Oggi invece ci si rifugia in un underground solo fintamente tale, scelto non per la sua diversità estetica e qualitativa, ma unicamente per moda, per mancanza di sbattimento, per comodità.
Gli Uochi Toki qualche anno fa hanno inquadrato perfettamente un atteggiamento che non vale solo per l’ascoltatore passivo analizzato da Adorno, ma anche per buona parte degli appartenenti alle cosiddette sottoculture: “tu ascolti un pezzo, un disco o un gruppo, se e solo se lo ha minimamente nominato o apprezzato qualcun altro: l’interesse non nasce da teee, l’interesse non nasce da teee!” concludendo in bellezza che “tu sei uno stronzo perché non ti sforzi di andare oltre al brutto”. Ecco non mi spingo a tal punto dal condividere l’insulto nei vostri confronti, che peraltro se state leggendo questo testo fate parte di quell’élite di ascoltatori che svolge già una certa approfondita ricerca musicale. E per questo andate lodati, ovvio.
Ma dopo l’increscioso e inutile filippica è necessario andare al dunque, e ricordare che maggiore lode ancora meritano i Fuh, che avevamo già imparato a conoscere e apprezzare con il piccolo gioiellino Extinct di un paio d’anni fa. Anche perché se è lodevole riuscire ad essere dei buoni ascoltatori ancor di più lo è essere dei buoni musicisti, in grado di rimanere artisticamente onesti e innovativi.
Dancing Judas conferma le doti del gruppo che non si è limitato ad affinare il proprio stile figlio del post-core di Fugazi e Unwound ma ha introdotto nuovi elementi (sprazzi di elementi wave) e portato avanti il progetto di coniugare un sound robusto e vigoroso con un’estetica discendente alla lontana dal mondo indie (vedi soprattutto Distance, peraltro uno dei brani più difettosi del disco), con risultati più che proficui. Se Grandine apre colpendoti in testa come un mattone sonico (tra riff pesanti al limite dell’heavy, danze indiavolate, chitarre taglienti e infuocate e un cantato pressochè perfetto nel suo stampo adeguatamente urlato), la successiva Four things mette in mostra strutture melodiche pop che accompagnano una ritmica roboante, su cui ballano impalcature fumose e incastri sferraglianti.
E’ un post-core molto ammorbidito ma ancora potente, che ricorda vecchie glorie italiane come Three Second Kiss e classiconi indie-core del calibro di Superchunk e Archers of Loaf. E’ qualcosa di seriamente imponente Dancing Judas, che sfrutta partenze poderose come quelle di Miniver (la cui purezza devastatrice dell’attacco iniziale, ripetuto con furore per quei primi memorabili 55 secondi è impagabile) e digressioni che spaziano tra attitudini post-rock in visita presso terre dedite al culto wave-noise (Quarter).
Altro notevole pregio è quello di risultare estremamente compatto pur essendo assai eterogeneo, sommando fughe di psichedelia liquida (Canalese landscape: titolo leggendario) e forme labirintiche e geometriche più tipiche di un certo math-rock alla Don Caballero, da cui ci si lancia verso il recupero di istanze melodiche indie-classiche (Gordon, rest in peace) o tuffandosi in una nebbia industrial-wave di fumi psichedelici da cui si esce tamburellando violentemente. In ogni caso qualcosa di notevole e autorevole. E forse è il caso di rendergli la giusta lode non trovate? Non facciamo fare a questi ragazzi la fine che hanno fatto trent’anni addietro gli eroi di Pordenone, che ancora aspettano la giusta rievocazione gloriosa!» (Alessandro Pascale)
E poi ci perdiamo l’essenza della vera musica passionale e violenta (in maniera delicata) come quella prodotta da gruppi di livello come Dead Elephant, Fine Before You Came e Altro. Ma allora diciamocelo che noi italiani siamo ontologicamente scemi, e che certe volte al posto della cioccolata ci piace mangiare la merda, così almeno ci togliamo una volta per tutte ogni speranza che in questo paese si riesca ad istituire non dico un governo decente o una coscienza civica minima, ma anche solo uno spirito critico realmente capace di scavare in profondità del fenomeno artistico in sé.
Una volta si diceva (a torto) che l’underground coincideva con quanto di meglio potesse offrire la musica. Si sbagliava, però almeno si centrava parzialmente il bersaglio e non ci si faceva sfuggire grandi artisti e band abbandonate dal sistema mass-mediatico dominante. Oggi invece ci si rifugia in un underground solo fintamente tale, scelto non per la sua diversità estetica e qualitativa, ma unicamente per moda, per mancanza di sbattimento, per comodità.
Gli Uochi Toki qualche anno fa hanno inquadrato perfettamente un atteggiamento che non vale solo per l’ascoltatore passivo analizzato da Adorno, ma anche per buona parte degli appartenenti alle cosiddette sottoculture: “tu ascolti un pezzo, un disco o un gruppo, se e solo se lo ha minimamente nominato o apprezzato qualcun altro: l’interesse non nasce da teee, l’interesse non nasce da teee!” concludendo in bellezza che “tu sei uno stronzo perché non ti sforzi di andare oltre al brutto”. Ecco non mi spingo a tal punto dal condividere l’insulto nei vostri confronti, che peraltro se state leggendo questo testo fate parte di quell’élite di ascoltatori che svolge già una certa approfondita ricerca musicale. E per questo andate lodati, ovvio.
Ma dopo l’increscioso e inutile filippica è necessario andare al dunque, e ricordare che maggiore lode ancora meritano i Fuh, che avevamo già imparato a conoscere e apprezzare con il piccolo gioiellino Extinct di un paio d’anni fa. Anche perché se è lodevole riuscire ad essere dei buoni ascoltatori ancor di più lo è essere dei buoni musicisti, in grado di rimanere artisticamente onesti e innovativi.
Dancing Judas conferma le doti del gruppo che non si è limitato ad affinare il proprio stile figlio del post-core di Fugazi e Unwound ma ha introdotto nuovi elementi (sprazzi di elementi wave) e portato avanti il progetto di coniugare un sound robusto e vigoroso con un’estetica discendente alla lontana dal mondo indie (vedi soprattutto Distance, peraltro uno dei brani più difettosi del disco), con risultati più che proficui. Se Grandine apre colpendoti in testa come un mattone sonico (tra riff pesanti al limite dell’heavy, danze indiavolate, chitarre taglienti e infuocate e un cantato pressochè perfetto nel suo stampo adeguatamente urlato), la successiva Four things mette in mostra strutture melodiche pop che accompagnano una ritmica roboante, su cui ballano impalcature fumose e incastri sferraglianti.
E’ un post-core molto ammorbidito ma ancora potente, che ricorda vecchie glorie italiane come Three Second Kiss e classiconi indie-core del calibro di Superchunk e Archers of Loaf. E’ qualcosa di seriamente imponente Dancing Judas, che sfrutta partenze poderose come quelle di Miniver (la cui purezza devastatrice dell’attacco iniziale, ripetuto con furore per quei primi memorabili 55 secondi è impagabile) e digressioni che spaziano tra attitudini post-rock in visita presso terre dedite al culto wave-noise (Quarter).
Altro notevole pregio è quello di risultare estremamente compatto pur essendo assai eterogeneo, sommando fughe di psichedelia liquida (Canalese landscape: titolo leggendario) e forme labirintiche e geometriche più tipiche di un certo math-rock alla Don Caballero, da cui ci si lancia verso il recupero di istanze melodiche indie-classiche (Gordon, rest in peace) o tuffandosi in una nebbia industrial-wave di fumi psichedelici da cui si esce tamburellando violentemente. In ogni caso qualcosa di notevole e autorevole. E forse è il caso di rendergli la giusta lode non trovate? Non facciamo fare a questi ragazzi la fine che hanno fatto trent’anni addietro gli eroi di Pordenone, che ancora aspettano la giusta rievocazione gloriosa!» (Alessandro Pascale)